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24.10.08

SCRITTRICI NAPOLETANE

MANIFESTI Sulla rivista "l' Indice",
Fabrizia Ramondino protesta contro le etichette regionali
PER FAVORE NON CHIAMATEMI SCRITTRICE NAPOLETANA

MANIFESTI Sulla rivista "l' Indice",
Fabrizia Ramondino protesta contro le etichette regionali PER FAVORE NON CHIAMATEMI SCRITTRICE NAPOLETANA Una narratrice rivede le bucce, a buon diritto, alla propria catalogazione pubblica negli annali letterari contemporanei. Sull' Indice di settembre, Fabrizia Ramondino pubblica un "Manifesto contro la definizione "scrittori napoletani", con la quale e' stata suo malgrado etichettata. Fabrizia Ramondino e' nata a Napoli, ne e' partita e c' e' tornata; ne ha scritto nei suoi libri, fra i quali "Althenopis", decorato del premio Napoli; le recensioni l' hanno inchiodata alla qualifica di "autrice napoletana". L' etichetta le disgrada: ma penso che lo stesso accadrebbe se, per luogo di nascita e temi, si vedesse stampigliata come scrittrice catanese, bolognese o torinese. Come darle torto? Non basta, dice, essere nata, abitare in un luogo, amarlo, scriverne, per essere legata per sempre a una qualifica che vuole avere valore critico e che finisce per emettere uno spifferino regionalistico e il sospetto di "dialettale" come minore - anche se per fortuna si va sempre piu' riconoscendo ai dialetti la dignita' di lingue. Comunque, insiste la Ramondino, scriviamo tutti in italiano. La sola ragionevole discriminante (questo non lo dice lei, lo dico io) dovrebbe essere fra autori buoni, mediocri e pessimi - che naturalmente e' affermazione assai banale. Tutti gli altri rimandi possono servire solo a un club, a una proloco, a un festivalino, a un premio letterario. Il "Manifesto" della Remondino chiama a raccolta, e a urbana insurrezione, gli scrittori che si sentono troppo stretti in involucri utili alle storie letterarie, agli atlanti culturali e ai "bigini", ma a non molto di piu' . Del resto, se si prova a maneggiare un po' da vicino, tali etichette possono mettere in imbarazzo. Il Moravia dei "Racconti romani" sara' un narratore romano o, peggio, romanesco? E il Porta, un eccellente poeta meneghino? E quell' ingegno fabulatorio di Giambattista Basile sara' semplicemente un "autore napoletano"? Del resto, a furia di restringere l' ombrello etnico - geografico sul capo dello scrittore, si finira' per avere fra le mani un romanziere brusugliese (de Brusuj), autore di un romanzetto dove si tratta di promessi sposi. (Giuliano Gramigna)

Fabrizia Ramondino
Quell´ultimo mare e una "città isola"
Stella Cervasio
Da ieri in libreria un altro romanzo: "La via"
Rivendicava la differenza e l´individualità
Collaborò con Mario Martone L´ultimo romanzo, che non è l´ultimo perché Fabrizia Ramondino stava lavorando a un altro libro che resterà incompiuto, è qui ancora avvolto nel cellophane, con in copertina una moderna Susanna tra i vecchioni del pittore nabis Felix Vallotton e nelle pagine l´ultimo mare di Fabrizia, quello flegreo. «Credo che la nostra vita sia un passaggio. Come i cantastorie di una volta, che viaggiavano da una città all´altra, sento di essere di passaggio all´interno di un romanzo, di un racconto», disse una volta. Il mare, metafora del suo intero percorso narrativo ed esistenziale, se l´è portata via a 72 anni con l´energia di sempre intatta, lasciando tutti interdetti e pieni di nostalgia. Oggi l´autopsia sul corpo della scrittrice dirà che cosa le ha tolto il respiro, ma non svelerà il mistero del suo rapporto unico con il mare. "Il libro dei sogni" del 2002 ne è testimonianza: il mare è in ogni visione onirica rievocata per ripercorrere un periodo in cui si era sottoposta ad analisi. "Il mare - scrive - mi ricorda la nostra casa a Maiorca, ma lo associo anche a una bara di vetro, nella quale sono rinchiusa, mentre vorrei essere risvegliata dall´amore". Il suono di una oscura profezia.
Città-isole ritornano quasi in ogni suo libro, senza che questo la faccia mai sentire "napoletana". «Spesso mi hanno definita scrittrice napoletana - diceva - ma è una definizione che avverto con disagio, perché credo che uno scrittore non vada mai classificato, sarebbe come chiuderlo in un cassetto». Aveva profondamente ragione, anche se Napoli equivocò e lo scambiò per uno schiaffo. Anche lei, come Anna Maria Ortese, castigando la parte peggiore della città finì alla lavagna nella metà dei cattivi, punita perché rivendicava la differenza e l´individualità cui ogni creativo ha diritto. Al contrario di tanti che si limitano ad annunciarlo, la Ramondino aveva lasciato Napoli, ma solo per approdare in un´altra città-isola, altrettanto simbolica. Nella sua Itri, dove abitava da un po´ di anni, frequentava un piccolo gruppo di amici, anziani "fondatori" di questa Capalbio del sud, come il giornalista scientifico e scrittore Franco Prattico, e giovani acquisizioni, come il troppo presto scomparso musicista Gianluigi Di Franco. Cercatori di un punto di vista sufficientemente ma non troppo lontano da Napoli. Impossibile però interrompere la sua storia con la città-isola. Qui aveva vissuto il primo romanzo, "Althènopis", uscito nell´81. Aveva scelto la via della narrativa dopo esperienze che la portavano nel mondo dell´inchiesta, come per "Napoli disoccupati e organizzati. I protagonisti raccontano" del ‘77 e "L´isola dei bambini", che circa 30 anni dopo, nel ‘98, riassume il lavoro con il Centro di coordinamento del Movimento insegnanti medi con cui aveva collaborato dal ‘68. Dopo il primo romanzo sono venuti tanti altri libri, gli anni del "Mattino" in cui con lei alle pagine di cultura collaboravano scrittori come Domenico Rea e Guido Almansi, poeti come Salvatore Di Natale e Franco Cavallo. E in seguito Palazzo Marigliano e la stagione delle sceneggiature, la collaborazione con Mario Martone ("Morte di un matematico napoletano" e l´episodio del film "I Vesuviani", "La salita"), i viaggi per sostenere la lotta di liberazione del popolo Saharawi. Nel 1988 con Andreas Müller compone il grande affresco "Dadapolis - caleidoscopio napoletano" che l´anno dopo viene tradotto da Einaudi. Un libro che ormai ha la copertina ingiallita e qualche ferita di carta, dovute alla consultazione inevitabile per chi scrive su Napoli. «È il Vesuvio che scuote e non si sposta», scrive la Ramondino citando una lettera di Marina Cvetaeva a Pasternak. In Dadapolis le montagne, per Fabrizia, erano due, ed entrambe inamovibili: la città reale e quella raccontata da chi, straniero o napoletano, le si avvicinava cercandone una impossibile lettura. Per vedersi, come nel caso dell´impietoso ma anche sedotto Ceronetti, inserito contemporaneamente nel capitolo "Fuga" dei detrattori, ma anche tra quelli che ci ritornano. (25 giugno 2008)Torna indietro
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Gaeta: Muore mentre nuota scrittrice Fabrizia Ramondino24 giugno 2008 alle 13:30 — Fonte: repubblica.it
Un infarto le ha stroncato la vita, proprio mentre la casa editrice “Einaudi” pubblica nelle librerie di tutta Italia il suo ultimo lavoro: “La via”.

Una tragica coincidenza per Fabrizia Ramondino, scrittrice nata a Napoli nel 1936, e da anni solita frequentare la spiaggia di Gaeta, nel sud pontino, dove si era trasferita in questi giorni per un periodo di vacanze.
Ha perso la vita mentre nuotava, nel pomeriggio di ieri, vani i soccorsi della sua segretaria e di altri bagnanti che hanno assistito alla scena della scrittrice che chiedeva aiuto in acqua; Ramondino, trasportata sulla battigia, poco dopo è morta molto probabilmente a causa di un infarto. L’autopsia fissata per la giornata di oggi chiarirà le effettive cause del decesso.
“La via”, il suo romanzo, narra le vicende di un uomo di mare che approda in un luogo dove la vita scorre tranquilla, lontana dal caos delle grandi città. Fabrizia Ramondino, una delle scrittrici italiane più apprezzate, fin dai suoi esordi si è caratterizzata anche per l’impegno nell’azione sociale a favore delle fasce più deboli. Ha collaborato al “Movimento insegnanti medi” di Milano nel ‘68 e l’anno successivo al “Centro di coordinamento campano”. Nel 1977 ha preso parte a “Napoli: i disoccupati organizzati”, oltre a sostenere piu’ recentemente la lotta di liberazione per il Saharawi.
Il capoluogo partenopeo, oltre ad essere la sua città natale, sarà anche uno dei grandi amori della Ramondino, tanto da pubblicare “Dadapolis, Caleidoscopio napoletano”, datato 1989, una raccolta delle impressioni e dei giudizi che sono stati dati nel tempo sulla città di Napoli. Tra le ultime sue opere “Per un sentiero chiaro” una raccolta di poesie che copre il lungo arco di tempo che va da 1956 al 2002,in cui ritornano temi come la natura, l’eros e la sua Napoli.


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Giovanna Mozzillo, è nata a Napoli, vive a Napoli e i libri che ha scritto finora trattano di Napoli e della napoletanità. Ha insegnato, fatto politica scolastica, pubblicato degli articoli su quotidiani e riviste, tra cui il "Corriere del Mezzogiorno","La Sicilia" e "Viaggio in Italia".
Nel 1976 ha collaborato a un’antologia voluta dalla Regione Campania per celebrare il xxx anniversario della Resistenza . Il titolo è "La Campania dal fascismo alla repubblica". In essa ha curato il secondo volume dedicato a società e cultura. Vi sono raccolti brani di molteplici autori, da Croce, Omodeo e Papini a Viviani, Savinio e Paolo Ricci, da Stefanile, Prunas ed Elena Canino ad Anna Maria Ortese, Rea e Compagnone . Attraverso le loro voci e le loro testimonianze la Napoli degli anni tra il 1938 e il 1946 rivive con immediatezza quasi cinematografica .
Nel 1994 è stato pubblicato il suo primo lavoro di narrativa, " Le alghe di Posillipo".Edito dalla Lombardi di Siracusa e distribuito dalla Marsilio, è un collage di emozioni d’infanzia, in cui l’autrice rievoca la Napoli di quando era bambina, una Napoli che, malgrado la guerra appena cessata, malgrado le macerie lasciate dai bombardamenti, restava ancora identica a se stessa, una Napoli in cui, per dirla con Raffaele La Capria, Posillipo era la nostra Polinesia .
Dell’anno successivo è "Tempo di cicale", edito dalla Di Mauro di Napoli, un libro nato come omaggio alla bellezza di Massa Lubrense, il paese che da più di trent’anni rappresenta per la Mozzillo la dimensione alternativa alla città, ma anche come denuncia della devastazione subita da un territorio impareggiabile che avrebbe dovuto costituire un unico intangibile parco naturale, mentre ogni anno, quando si ritorna, si scopre che il processo di banalizzazione ed umiliazione della bellezza ha implacabilmente fatto un altro passo avanti.
Del 1999 è “Recita napoletana”. (1999, premio "Naples in the World"2001), edito dalla Avagliano di Cava dei Tirreni. Si tratta di una raccolta di monologhi pronunciati da personaggi napoletani, che non "sono" se stessi, ma "recitano" la parte di se stessi, come se ci fosse un imbonitore perentorio che li sospinge uno dopo l’altro sulla tribuna di una fiera di paese.

Il primo romanzo è "La signorina e l’amore" (2001, finalista al"Premio Elsa Morante" 2002). Edito dalla Avagliano, è arrivato in libreria nel gennaio 2002. Si svolge al tempo del fascismo e della guerra, e narra la storia di un amore irregolare," adulterino", per usare la terminologia dell’epoca. Vi è di scena la Napoli degli anni ’30, una Napoli radiosa nella sua intatta bellezza, nella festa perenne dei suoi colori, delle sue luci, dei suoi profumi ( basti pensare che allora il Vomero era campagna e la sera nelle trattorielle di Antignano si cenava sotto la pergola di uva fragola). Una Napoli però dichiaratamente classista, con una borghesia chiusa nella proprie convenzioni e dura e arrogante verso i sottoposti, e un popolo ancora genuino e identico solo a se stesso, ma immerso in una atroce e umiliata miseria . Sullo sfondo le parate di regime, gli echi dei conflitti di Etiopia e di Spagna. le polemiche tra fascisti e antifascisti, e, infine, dopo lo scoppio della guerra, il razionamento, le bombe, le fughe notturne nei ricoveri.

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A quasi novant'anni Brando rievoca la sua vita. Una vita che, malgrado il suicidio del figlio, si è svolta all'insegna del gioco e della gioia. A illuminarla, la passione per le donne, tante donne: Maria Vittoria, complice di avventure e sogni adolescenziali, Dorotea con la sua morbosità, Felicina, l'amabile puttana, e poi i rapporti della maturità, la dolce Ombretta e la solare Mimma. E la passione per la bellezza: collezionista di pastori del presepe e scenografo, Brando è stato innamorato del teatro e della sua magia.

Un libro, questo, con tre anime: l'ironia, con cui il protagonista ricorda gli eventi; Napoli, quella dell'ultima belle époque e del fascismo, quella del dopoguerra, e poi l'indecifrabile città di oggi; e infine il confronto con la morte, la morte che è dietro l'angolo. Una sorta di Versione di Barney all'italiana. Un libro che è una rivisitazione nostalgica del passato e, al tempo stesso, una disincantata riflessione sul presente.

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Valeria Parrella è nata nel 1974 e vive a Napoli.
Ha pubblicato:
Mosca più balena , Premio Campiello Opera Prima),
E’ l’esordio letterario edito da Minimum fax della giovane scrittrice napoletana Valeria Parrella. Ha vinto il Premio Campiello nel 2004, è stata selezionata per il Premio Strega 2004 ed è entrata nella cinquina finale del Premio Strega 2005 con il suo secondo libro Per grazia ricevuta. Tutto questo per dire che a volte i riconoscimenti sono davvero ben meritati.
Sono sei racconti, brevi e incisivi, che raffigurano sei ritratti di donne e descrivono realtà diverse tra loro con una scrittura originale, divertente e ritmata. Sono tutte donne che lottano, sperano, agiscono, che dunque si impegnano a vivere a qualunque condizione e in qualunque modo.
Sei racconti, sei piccoli capolavori. Uno di questi, Dritto dritto negli occhi con la sua protagonista Guappetella è il mio preferito. Eccone un piccolo stralcio:

Quella sera tornai e mi misi con lo Stuort’.
Mi piaceva davvero, ma gli presi più di quanto gli diedi. Era lo scotto da pagare per avere una donna di diciassette anni se ne hai trentacinque. Io non avevo padre, e il quartiere comunque a queste cose non guardava tanto. La moglie dello Stuort’ abitava sopra a tutta la via e non si vedeva mai in giro, io invece ero inseritissima, e tutti mi chiamavano Guappetella come faceva lui.
Se io fossi stata la figlia che volevo essere, della signora che volevo diventare, allora mia madre avrebbe denunciato ‘O stuort’, mi avrebbe mandata a studiare all’estero. Invece mia madre disse: “Fatte mettere a casa ‘nfaccia’’
Ma tutti, senza distinzione, meritano davvero di essere letti per la loro intensità, per le tinte di una Napoli splendida e spietata, per i temi sociali rappresentati con ironia e sagacia.
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Per grazia ricevuta (minimum fax 2005, finalista Premio Strega, Premio Renato Fucini, Premio Zerilli-Marimò),

Il verdetto (Bompiani 2007)

Lo spazio bianco (Einaudi 2008).
Valeria Parrella
Lo spazio bianco

Un libro importante, bello, sobrio e intenso. La storia di una madre e della sua bambina nata prematura. Uno spazio....in cui una scrittrice con la sua arte sa entrare con mano sicura e piede leggero, con parole di straordinaria autenticità, a dimostrazione che l'arte sa interrogare il proprio tempo, sa interpretarlo meglio di qualsiasi altra lingua. Di queste altre lingue se mai rivela, in involontario controluce, la miseria e il superficiale opportunismo.
Liliana Rampello
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Valeria Parrella "Per Grazia Ricevuta" (2005).
Quattro racconti. Quattro finestre sulla quotidianeità più pura.
Quattro storie su Napoli, ma più che altro, vissute a Napoli. Valeria Parrella 31enne scrittrice napoletana ha già vinto nel 2004, con il libro d'esordio,
"Mosca più balena", il Premio Campiello e con questa raccolta è entrata nella rosa dei finalisti del Premio Strega 2005.
Ci offre questi piccoli intensi spaccati di vita vissuta, lontana sia dalla napoletaneità da cartolina, che da quella estrema di certe narrazioni che vedono in questa città solo un luogo al limite e senza riscatto.
La Parrella sceglie di raccontare la normalità e vince la sfida.
Se si eccettua forse la prima novella, dove viene proposto un apologo che rientra alle soglie di una esistenza al limite, ma non fino al punto del non ritorno, il resto sono storie che potrebbero essere ambientate in qualsiasi città, se non fosse per questa sottile presenza che le rende abbastanza peculiari e appartenenti ad un luogo specifico.
Storie di esseri normali, estranei all’epica della marginalità e alla semplificazione di certo pregiudizio culturale che li vorrebbe da sempre condannati alla macchietta. Storie di tutti i giorni, ma non banali, di chi combatte con la propria vita, con le proprie ossessioni e con il proprio vuoto esistenziale. Per questo molto più difficili da poter rendere in letteratura, senza il rischio di incorrere nel clichè e nel luogo comune.
Tre sono storie raccontate in prima persona dalle donne protagoniste, l’altra, la seconda, è semplicemente un breve bozzetto leggero e quasi spensierato, narrato da un ragazzo con le “unghie lunghe” ed ambientato in una singolare tipografia.
Racconti completamente staccati e diversi tra loro, che attraversano quattro distinte condizioni sociali ed esistenziali, donne ed uomini che vivono nell’illegalità, altri che conducono la loro esistenza presi tra vernissage, mondanità, tradimenti e viaggi in aereo, altri ancora nella classica normalità un pò meschina da impiegati e commesse.
Sono storie di solitudini e di vuota routine, anche quando nascondono qualche piccolo riscatto. Sono spaccati di vita quotidiana, che restano con intelligenza fuori da quel minimalismo narrativo nostrano vuoto e fine a se stesso, senza sangue né carne.
Valeria Parrella scrive in maniera semplice e lineare, ma con tenera profondità, evita di restare in superficie e in poche pagine riesce a dare costrutto e spessore ai suoi personaggi e alle sue storie. Dalla sua penna trapela una profonda umanità e una sensibilità a tratti lievemente dolorosa, disincantata, ma anche molto solare come la sua città.


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