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24.10.08

Dacia Maraini e le altre


Dacia Maraini nasce a Fiesole il 13 novembre del 1936. La madre, Topazia, è pittrice e appartiene a un’antica famiglia siciliana, gli Alliata di Salaparuta. Il padre, Fosco Maraini, per metà inglese e per metà fiorentino, è un etnologo conosciuto che ha scritto diversi libri sul Tibet e sul Giappone.

I primi anni
Desideroso di lasciare l'Italia fascista, Fosco Maraini partecipa ad un concorso internazionale e vince una borsa di studio per uno studio sugli Hainu nel nord del Giappone, dove andrà a vivere con la sua famiglia, tra il 1938 e il 1947. Gli Hainu sono una popolazione in via di estinzione stanziata nell'Hokkaido. Dal 1943 al 1946, la famiglia Maraini, insieme con altri italiani, è internata in un campo di concentramento, per essersi rifiutata di riconoscere ufficialmente il governo militare giapponese. Questo governo, infatti, nel '43 aveva fatto un patto di alleanza con l'Italia e la Germania e chiese ai coniugi Maraini di firmare l'adesione alla repubblica di Salò, cosa che appunto non fecero.
Nella sua collezione di poesie "Mangiami pure", del 1978, la scrittrice racconta proprio delle atroci privazioni e sofferenze, provate in quegli anni, fortunatamente interrotti dall'arrivo degli americani.

Rientrata in Italia, la famiglia Maraini si trasferisce in Sicilia, presso i nonni materni, nella Villa di Valguarnera di Bagheria, dove le tre figlie cominciano gli studi. La povertà è una costante di quegli anni di difficile adattamento al nuovo ambiente.
Qualche anno dopo la famiglia si divide. Il padre va ad abitare a Roma, la madre resta a Palermo con le tre bambine che frequentano le scuole della città.
Quando Dacia Maraini compie i diciotto anni decide di andare a vivere a Roma con il padre. Qui prosegue il liceo, si arrangia per guadagnare, facendo lavori diversi: l’archivista, la segretaria, la giornalista di fortuna.

A ventuno anni fonda, insieme con altri giovani, una rivista letteraria, "Tempo di letteratura", edita da Pironti a Napoli e comincia a collaborare con riviste quali "Paragone", "Nuovi Argomenti", "Il Mondo".

Anni Sessanta
Nel corso degli anni Sessanta si sposa con Lucio Pozzi, pittore milanese (dal quale si divide dopo quattro anni di vita in comune) e pubblica i suoi primi romanzi. Nel 1962 presso l’editore Lerici: "La vacanza". Nel 1963 "L’età del malessere" che ottiene il premio internazionale degli editori "Formentor". Il terzo romanzo "A memoria" del 1967 è pubblicato da Bompiani. Per la Feltrinelli con il titolo "Crudeltà all’aria aperta" pubblica nel 1966 le sue poesie. Il libro viene recensito con molto favore dallo scrittore Guido Piovene.

Nel corso di questi anni Dacia Maraini comincia ad occuparsi anche di teatro fondando, insieme ad altri scrittori, il Teatro del Porcospino, in cui si rappresentano solo novità italiane: Gadda, Moravia, Wilcock, Siciliano, Maraini e Parise.
Lei stessa, dalla seconda metà degli anni Sessanta scriverà molti testi teatrali, tra i quali: "Maria Stuarda", che ottiene un grande successo internazionale (tradotto e rappresentato in ventuno paesi e ancora si continua a rappresentare); "Dialogo di una prostituta con un suo cliente", pubblicato da Images di Padova, (tradotto e rappresentato negli anni seguenti prima a Bruxelles, poi a Parigi e quindi a Londra e ancora in quattordici paesi diversi); "Stravaganza"; fino ai recenti "Veronica, meretrice e scrittora" e "Camille".
A Roma incontra Alberto Moravia che nel 1962 lascia la moglie e scrittrice Elsa Morante, per lei.
Nel 1968 esce un libro di racconti, "Mio marito" edito da Bompiani, due anni dopo Einaudi pubblica il suo libro di teatro "Ricatto a teatro e altre commedie''.

Anni Settanta - Ottanta
Nel 1973 fonda, assieme con Lù Leone, Francesca Pansa, Maricla Boggio e altre, il teatro della Maddalena, gestito e diretto da donne. Il teatro, infatti, è sempre per Dacia Maraini anche un luogo per informare il pubblico riguardo a specifici problemi sociali e politici. Nel 1972 viene pubblicato il ramanzo "Memorie di una ladra", dal quale Monica Vitti ne ricava il fil "Teresa la ladra" e nel 1975 esce per Einaudi "Donna in guerra", pubblicato in sei lingue.

Nel 1980 esce "Storia di Piera" scritto in collaborazione con Piera Degli Esposti. il libro avrà otto edizioni. Marco Ferreri ne ricaverà un film con Marcello Mastroianni, Hanna Shigulla e Isabelle Huppert.
Del 1984 è il romanzo "Il treno per Helsinki", edito da Einaudi. Il libro viene tradotto in cinque lingue. Nel 1985 segue “lsolína" pubblicato da Mondadori (Premio Fregene 1985, ripubblicato da Rizzoli nel 1992; tradotto in cinque paesi).

Anni Novanta
Nel 1990 esce "La lunga vita di Marianna Ucrìa" accolto molto positivamente dalla critica e dal pubblico. Il libro riceve, il premio Supercampiello. Pochi mesi dopo gli sarà assegnato il premio "Libro dell'anno 1990” (tradotto in diciotto paesi), da cui è stato tratto l'omonimo film di Roberto Faenza "Marianna Ucrìa"; oltre i premi: Quadrivio (Rovigo), Apollo (Salerno), "Reggio Calabria".
Nel 1991 esce una raccolta di poesie dal titolo "Viaggiando con passo di volpe", edizione Rizzoli (Premi: Mediterraneo 1992 e Città di Penne 1992).
Ancora nel 1991 viene pubblicato il libro di teatro "Veronica, meretrice e scrittora" che prende il premio "Fondi La Pastora" nel 1992.
Nel 1993 esce, presso Rizzoli, il libro "Bagheria" che conosce subito un buon successo di pubblico e di critica. Intanto, il teatro Stabile di Catania rappresenta la versione teatrale di "Marianna Ucrìa" con l'adattamento dell’autrice, la regia di Lamberto Pugelli, la partecipazione di Paola Mannoni e Umberto Ceriani.
Nel 1994 viene pubblicato il Romanzo "Voci"(Premi: Vitaliano Brancati - Zafferana Etnea 1997; Città di Padova 1997; Internazionale per la Narrativa Flaiano 1997; tradotto in sette paesi). Nel 1996 esce il saggio "Un clandestino a bordo". Nel 1997 un altro romanzo: "Dolce per sé", Nel 1998 viene pubblicata l’antologia di poesia "Se amando troppo". Del 1999 il libro di racconti "Buio" la violenza sull'infanzia e sull'adolescenza raccontata in dodici storie, che riceve il premio Strega.

Anni Duemila
Sempre pubblicati dall’editore Rizzoli seguono "Fare teatro (1966-2000)" che raccoglie quasi tutta l’opera teatrale di Dacia Maraini, "Amata scrittura", un libro sulla trasmissione televisiva condotta dall’autrice, nel 2000, e nel 2001 "La nave per Kobe" (il viaggio che la famiglia Maraini compì per raggiungere il Giappone, da Brindisi a Kobe). Nello stesso anno Fabbri pubblica il libro di favole "La pecora Dolly".
Nel 2003 scrive "Piera e gli assassini" in collaborazione con Piera degli Esposti.
Nel 2004 la scrittrice pubblica con Rizzoli il romanzo "Colomba", nel quale accompagna i lettori alla scoperta di una storia dai contorni fiabeschi: una ragazza scompare nei boschi del parco nazionale dell'Abruzzo, la sua giovane nonna prende a cercarla. I motivi della ricerca si mescolano con quelli della memoria familiare e della memoria collettiva di una regione che ha conosciuto la povertà, la pastorizia, il brigantaggio, il terremoto, l'emigrazione di massa.

Dacia Maraini è oggi una tra le più conosciute scrittrici italiane, e probabilmente la più tradotta nel mondo. La fama della Maraini è dovuta inoltre anche al suo grande talento come critico, poetessa e drammaturgo.
Si è dedicata e continua a dedicarsi al teatro, che vede come il miglior luogo per informare il pubblico riguardo a specifici problemi sociali e politici.

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Natalia Ginzburg



Biografia
Natalia Levi nasce a Palermo da Giuseppe Levi, ebreo di origine triestina, e madre milanese. Il padre è professore universitario e i suoi tre fratelli saranno imprigionati e processati con l'accusa di antifascismo.
Natalia trascorre l'infanzia e l'adolescenza a Torino, in stato di emarginazione e trova presto conforto nella scrittura.
Esordisce nel 1933 con il suo primo racconto, I bambini, pubblicato dalla rivista "Solaria" e nel 1938 sposa Leone Ginzburg col cui cognome firmerà in seguito tutte le sue opere. In quegli anni stringe legami con i maggiori rappresentanti dell'antifascismo torinese e in particolare con gli intellettuali della casa editrice Einaudi della quale il marito, docente universitario di letteratura russa, era collaboratore dal 1933.
Nel 1940 segue il marito, che era stato mandato al confino per motivi politici e razziali, in un paese dell'Abruzzo dove rimane fino al 1943.
Nel 1942 scrive e pubblica, con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte, il suo primo romanzo intitolato La strada che va in città che verrà ristampato nel 1945 sotto il nome dell'autrice.
Nel febbraio del 1944, in seguito alla morte del marito ucciso nel carcere di Regina Coeli, Natalia ritorna a Torino e al termine della Seconda guerra mondiale comincia a lavorare per la casa editrice Einaudi.
Nel 1947 esce il suo secondo romanzo È stato così che vince il premio letterario "Tempo".
Nel 1950 sposa l'anglista Gabriele Baldini, docente di letteratura inglese e direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Londra. Inizia per Natalia un periodo ricco per la produzione letteraria che si rivela prevalentemente orientata sui temi della memoria e dell'indagine psicologica. Nel 1952 pubblica Tutti i nostri ieri , nel 1957 il volume di racconti lunghi, Valentino, che vince il premio Viareggio e il romanzo Sagittario, nel 1961 Le voci della sera che, insieme al romanzo d'esordio verranno successivamente raccolti nel 1964 nel volume Cinque romanzi brevi.

Nel 1962 esce la raccolta di saggi Le piccole virtù e nel 1963 vince il premio Strega con Lessico famigliare che viene accolto da un forte consenso di critica e di pubblico.

Nel 1969 muore il marito e la scrittrice si dedica sempre più alla narrativa.

Negli anni settanta fanno seguito i volumi Mai devi domandarmi del 1970 e Vita immaginaria del 1974.

Nella successiva produzione la scrittrice, che si era rivelata anche fine traduttrice con La strada di Swann di Proust, ripropone in modo più approfondito i temi del microcosmo familiare con il romanzo Caro Michele del 1973, il racconto Famiglia del 1977, il romanzo epistolare La città e la casa del 1984 oltre La famiglia Manzoni, nel 1983, visto in una prospettiva saggistica.
La Ginzburg si rivela inoltre autrice di commedie tra le quali, Ti ho sposato per allegria del 1965, e Paese di mare nel 1972.
Nel 1983 viene eletta nelle liste del Partito Comunista Italiano al Parlamento.
Muore a Roma tra il 6 e il 7 ottobre 1991.


Controversie
Nel giugno 1971 firmò la petizione del settimanale "l'Espresso" contro il Commissario Luigi Calabresi ed altri funzionari della questura e del tribunale di Milano. Nell'ottobre 1971 fu tra i firmatari di un'autodenuncia pubblicata su Lotta Continua in cui esprimeva solidarietà verso alcuni militanti e direttori responsabili del giornale inquisiti per istigazione a deliquere a causa del contenuto violento di alcuni articoli, impegnandosi a «combattere un giorno con le armi in pugno contro lo Stato»[1][2].


Bibliografia
La strada che va in città (1942)
È stato così (1947)
Tutti i nostri ieri (1952)
Valentino (1957)
Sagittario (1957)
Le voci della sera (1961)
Le piccole virtù (1962)
Lessico famigliare (1963)
Mai devi domandarmi (1970)
Caro Michele (1973)
Vita immaginaria (1974)
La famiglia Manzoni (1983)
La città e la casa (1984)
Serena Cruz o la vera giustizia (1990)

Le sue opere e il cinema
Dalla commedia Ti ho sposato per allegria (1967) Luciano Salce ha tratto un film con Giorgio Albertazzi, Monica Vitti, Maria Grazia Buccella e Italia Marchesini.

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Elsa Morante, da «narratrice nata», offre appassionatamente tutta la sua esistenza alla letteratura.

Elsa Morante, Bernardo Bertolucci, Adriana Asti e Pier Paolo Pasolini
(foto © Gianpiero Brunetta)

asce a Roma il 18 agosto del 1912: figlia di Irma Poggibonsi, maestra elementare ebrea, e di Francesco Lo Monaco. Cresce tuttavia in casa del padre anagrafico Augusto Morante, istitutore in un riformatorio per minorenni. Alla fine degli studi liceali, lascia la famiglia e va a vivere per conto proprio; ma la mancanza di mezzi economici la costringe ad abbandonare la facoltà di Lettere. Negli anni Trenta vive infatti da sola, mantenendosi con la redazione di tesi di laurea, dando lezioni private di italiano e latino, e in seguito collaborando a riviste e a giornali, tra cui il «Corriere dei Piccoli». Tra il 1939 e il 1941, inoltre, lavorerà assiduamente per il settimanale «Oggi». Nel 1936 conosce, tramite il pittore Capogrossi, Alberto Moravia che sposerà nel 1941. Nel '41 viene pubblicato anche il suo primo libro, Il gioco segreto, in cui è raccolta una piccola parte della vasta produzione narrativa destinata ai giornali; mentre l'anno successivo appare il libro di fiabe Le bellissime avventure di Caterì dalla trecciolina, illustrato della stessa Morante. Le sue personali e familiari inquietudini, il suo appassionato gusto della finzione emergono già nel Diario, redatto dal 19 gennaio al 30 luglio 1938, ma pubblicato solamente nel 1990.


Con Moravia vive prima ad Anacapri e poi a Roma, in un piccolo appartamento in via Sgambati, dove nel 1943 inizia a scrivere il suo primo romanzo Menzogna e sortilegio, interrompendone tuttavia la stesura per seguire il marito, indiziato di antifascismo, sulle montagne di Fondi, in Ciociaria. Nell'estate del '44 ritorna a Roma, ma intanto il suo complicato e difficile rapporto con Moravia alterna momenti di comunicazione intensa ad altri di distacco e malessere. In Elsa Morante, infatti, il bisogno di autonomia contrasta con una forte esigenza di protezione e di affetto. Allo stesso modo desidera e rifiuta la maternità, a cui rinuncia, ma di cui rimpiange, al tempo stesso, la possibilità perduta.


Nel 1948, dopo un primo viaggio in Francia e in Inghilterra, esce Menzogna e sortilegio, con cui vince il premio Viareggio. Moravia e la Morante, con il migliorare della loro situazione economica, si trasferiscono in un attico in via dell'Oca, che ben presto diverrà uno dei più frequentati ritrovi del mondo intellettuale romano. Nei primi anni Cinquanta la Morante tiene un nuovo diario, che presto interrompe. Collabora con la Rai, viaggia, scrive il racconto Lo scialle andaluso e lavora alla redazione del suo secondo romanzo L'isola di Arturo, che esce con notevole successo nel 1957, vincendo il premio Strega. Subito dopo visita con una delegazione culturale L'Unione Sovietica e la Cina. Nel 1959, durante un viaggio negli Stati Uniti, conosce il giovane pittore newyorkese Bill Morrow, con cui instaura un'intensa amicizia. Nel 1960, pur non abbandonando la residenza coniugale e il proprio studio ai Parioli, si trasferisce in un appartamento tutto per sé in via del Babuino. Viaggia con Moravia in Brasile e l'anno successivo, insieme anche a Pasolini, si reca in India. Nel 1962 si separa definitivamente dal marito e vive la tragica esperienza della morte dell'amico Bill Morrow, precipitato nel vuoto da un grattacielo. Gli anni successivi sono assai drammatici per la Morante, che pur continuando a viaggiare (in Andalusia, in Messico, nel Galles), appare tormentata dall'ossessione della morte del suo giovane amico e dalla minaccia della vecchiaia. Non solo, ma nella conferenza del 1965 Pro e contro la bomba atomica (uscita da Adelphi nel 1987) e nelle poesie de Il mondo salvato dai ragazzini (1968), si rileva anche una nuova forte inquietudine per i pericoli che minacciano l'umanità insieme ad un nuovo desiderio di intervento sul mondo. Nel 1974 esce, ottenendo un immenso successo popolare, ma suscitando diverse polemiche e riserve, il suo terzo romanzo La storia. Nel 1976 inizia la stesura del suo ultimo romanzo Aracoeli, che porterà a termine e pubblicherà solamente nel 1982, essendosi fratturata nel 1980 un femore. Dopo aver subito un intervento chirurgico, trascorre gli ultimi anni di vita a letto, non potendo più camminare. Nell'aprile del 1983 tenta il suicidio aprendo i rubinetti del gas, ma viene salvata da una domestica. Dopo un nuovo intervento chirurgico rimane in clinica, a Roma, dove muore d'infarto il 25 novembre del 1985.




ELSA MORANTE LA STORIA
Einaudi, 1974 pp. 661
Il romanzo schematizzato dalla critica come un ritorno al neorealismo si inserisce invece nella poetica della Morante, è un libro che nasce dalla passione, visionario e affabulatorio. Ogni personaggio, descritto da una narratrice esterna è ricco di immagini evocative che rimandano spessissimo a figure di animali, le stesse azioni umane vengono assimilate al regno animale e il Mondo, se non contaminato dal potere è luce, aria, terra e soprattutto acqua; è il liquido amniotico che nell'utero accoglie. La morte della madre di Ida, avvenuta per annegamento così è descritta.

Là è caduta, e la marea già prossima al deflusso l'ha ricoperta, appena quanto bastava a farla morire, però senza aggredirla né percuoterla (...)” p. 52
Innocenti, quindi a pieno diritto parte della Natura, Ida, Useppe, Vilma l'ebrea del ghetto fino agli animali hanno in comune una sorta di sesto senso una precognizione per ciò che li potrà addolorare, ferire, annientare. Così accade. Quando Vilma incita inutilmente gli abitanti del ghetto a fuggire, quando Iduzza piccola si ammala. Quando Useppe è portato da Ninuzzo, il fratello maggiore a vedere i treni alla Stazione Tiburtina, ma quel mattino l'unico viaggiatore visibile è un vitello, affacciato dalla piattaforma scoperta di un vagone, pronto alla sua ultima tappa al macello.
“(...)nei suoi occhi larghi e bagnati s'indovinava una prescienza oscura (...)”. “(...) anche Giuseppe lo andava osservando. E forse tra gli occhi del bambino e quelli della bestia si svolse un qualche scambio inopinato, sotterraneo e impercettibile. (...) lo sguardo di Giuseppe subì un mutamento strano (...).
Una specie di tristezza o sospetto lo attraversò (...)” p.125;

mesi dopo il bambino si ritroverà con la madre nello stesso luogo e Ida scoprirà i vagoni bestiame su cui sono stati ammassati gli ebrei del ghetto
(...) "lei lo vide che seguitava a fissare il treno con la faccina immobile, la bocca semiaperta, e gli occhi spalancati in uno sguardo indescrivibile di orrore.(...) " p. 247
Due parole sulla trama che riporto da “Invito alla lettura di Elsa Morante” di Carlo Sgorlon:
“Le vicende di La Storia sono del tutto ordinarie e quotidiane. Raccontano le affannose e tragiche vicende di una famigliola meridionale a Roma, durante il periodo bellico e nell'immediato dopoguerra. La madre Ida Ramundo, una maestra vedova, viene nel '41 violentata da un soldato tedesco ubriaco, un ragazzaccio incosciente e in pari tempo spaventato e melanconico, alla ricerca di una donna che lo consoli per la sua triste condizione di soldato. Dallo stupro nascerà un bambino, Useppe, che crescendo tra gli stenti, minuto e gracile, e poi rivelerà i sintomi del mal caduco che lo stroncherà nel '47, a poco più di cinque anni. Dal matrimonio Ida ha avuto un unico figlio, Nino, esuberante e spavaldo, che abbandona il liceo, si fa partigiano, poi passa le linee tedesche per andare nel Sud e riappare alla fine della guerra, impegnato non più in braverie belliche, ma in ingarbugliate imprese di borsaro nero: Morirà in un incidente di camion con cui trasporta merci di contrabbando, mentre è inseguito dalla polizia. Perduti i due figli Ida impazzisce e muore alcuni anni dopo in manicomio.” p. 99
Non mi convincono i termini “ordinarie” e “quotidiane” applicati alle vicende dei numerosi personaggi e seppur questo è un romanzo amaro è fuori dall'ordinario e ricco di speranza.
La speranza sta nella possibilità della presa di coscienza degli “umiliati”e offesi”, unica che possa rivoluzionare l'ordine (o il disordine) dei fatti, una rivoluzione senza spargimenti di sangue, una rivolta “passiva” alla Gandhi, senza compromessi.
Davide Segre, il personaggio forse più tragico passa dal suo idealismo anarchico e non violento all'azione imbracciando il fucile contro i tedeschi che gli hanno sterminato la famiglia (da lui odiata in quanto borghese), ma va oltre, non si accontenta di uccidere, si accanisce sul tedesco moribondo. Davide, l'ebreo (che è anche Carlo l'anarchico, Piotr il partigiano) non riesce a conciliare queste entità che sopravvivono in lui anche come una colpa e non riesce a perdonare se stesso né il mondo. La lucidità che gli permette di capire le sue contraddizioni non lascia spazio al sentimento, a quell'amore che vorrebbe per gli altri e per sé lui non è capace. La sua è, al contrario degli altri una vitalità mortifera, “adulta” contaminata da un desiderio di potere a dispetto del suo ideologismo. E' il suo inconscio a ricordarglielo attraverso un sogno.
“Nel suo letto c'è una ragazzina vergine, magra magra, come una tisica, con le mammelle della pubertà che appena le spuntano e i capelli lunghi già canuti, con gambine bianche infantili e grossi piedi plebei, e un grosso sedere: e lui la stupra.” p.612
Ida, Useppe, Ninuzzo, la gatta Rossella, il cane Blitz, la cagna Bella, Carulina sono creature fatte di sogni . Ma pur essendo una massa lacera, disperata e scomposta nessuno è privo di un'originalità, di un tratto fosse anche un segno, che li rende unici e irripetibili. Per questo mi sento di dire che La Storia è un canto di speranza e non di disperazione, per l'unicità dei suoi esseri e perché sanno chi sono (a differenza di Davide- Carlo-Piotr) e cosa vogliono, semplicemente vivere. Senza guerra, né fame, né paura.
Bellissimo libro.

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ELSA MORANTE

Colpisce la dedizione assoluta, con cui la Morante ha offerto tutta la sua vita alla letteratura, rifiutando di calarsi nel ruolo dello scrittore di mestiere che scrive un libro all'anno, preferendo giocare tutta se stessa in soli quattro romanzi. Ciò la rende forse unica nella letteratura di questo secolo, così come del tutto singolare e unico appare il suo primo romanzo.
Alla fine della seconda guerra mondiale, mentre tutto il mondo punta gli occhi sulla realtà presente, mentre il marito Alberto Moravia, nella stanza accanto alla sua, scrive La romana, la Morante ha il coraggio di scrivere un romanzo in cui, come dice Calvino (allora redattore della casa editrice Enaudi), «la Storia è bandita».
In realtà, la Morante compie un'operazione assai affascinante.
Ignorando la tragedia appena conclusasi, distanziandosi dalla contemporanea letteratura neorealista, volge lo sguardo su uno scenario lontano e spettrale, e paradossalmente dà vita a un'opera di grande eccentrica modernità.
Scritto negli anni 44-46 e pubblicato nel 48, il romanzo risente degli anni di oppressione e di delusione tra il fascismo e la fine della guerra.
Elsa Morante viveva allora a Roma col marito, Alberto Moravia e , in due stanze, scrivevano ognuno il suo libro .
Lui “La Romana , lei Menzogna e sortilegio, libro con cui si liberava dei ricordi allucinanti del passato , di sua madre , degli incubi che da bambina era stata costretta a vivere.
Si sente nel romanzo la voglia di rivisitare i morti e scoprire le ragioni del loro agire e del loro soffrire.
I personaggi principali sono 4: Anna , la povera ex nobile , ma decaduta, piena di fierezza e innamorata di Edoardo, il cugino ricco, nobile e bello, che, dietro un fondo di arrogante strafottenza, nasconde la tristezza di una morte precoce, Francesco, amico di Edoardo, che, innamorato di Anna, finisce con l’ottenere di sposarla. Anna lo sposa senza amore, spinta dal bisogno, dopo essere stata rifiutata dal cugino.
In tale doloroso triangolo si inserisce la bimba di Anna e Francesco, la stessa scrittrice, che racconta dal suo punto di vista la storia.
Le focalizzazioni del romanzo sono quindi molteplici, ma su tutte predomina alla fine quella della bimba , che consapevole della situazione, cerca di mediare i conflitti familiari che risultano tanto più grandi di lei, riuscendoci solo in parte.
Le descrizioni di stati d’animo, di malinconie, di amori non corrisposti , di fantasie rendono tutto il libro - ben a ragione è il titolo- una continua menzogna e un nascosto sortilegio.
Anna ama per tutta la vita il cugino , anche dopo che è morto, continua ad amarne il fantasma, mentre non si accorge dell’amore vero e concreto del marito Francesco.
Questi lavora , si sacrifica e si danna per Anna , che non lo degna di un’attenzione.
Lui allora ,a sua volta, mancandogli l’amore della moglie, si consola con una prostituta dal cuore grande , Rosaria, che lo ama perdutamente, facendola soffrire.
Ma non sveliamo il finale , che si rivela tragico per tutti: l’unica a salvarsi è la bimba che in una innocente preveggenza, sa stare dalla parte dei deboli e proteggere sia il padre sia la madre.
Il sortilegio dell’amore non corrisposto, quasi una maledizione, pesa in tutto il romanzo. Elsa si è liberata di memorie per lei dolorosissime e ha innalzato la figura del padre , in una specie di comprensione ed elogio postumo, mentre si augura di vederli felici, padre , madre e cugino, in un’altra migliore vita., come nella costellazione di un mito greco.
L’ambiente della nobiltà napoletana e dei ceti poveri, ma dignitosi, viene in luce meravigliosamente descritto.E’ un romanzo particolare, ma anche corale, esprimente tutta l’anima napoletana, densa di amore, mistero, sortilegio e magia.
Forse i romanzi successivi della Morante come La storia o L’isola di Arturo risultano più comprensibili di questo, ma solo qui si incontrano certi stati d’animo, certe atmosfere alla Ortese , che solo un vero napoletano può capire.Noi ci inchiniamo ad una grande scrittrice , che esplora la psiche in modo segreto e misterioso, entrando nei meandri dell’estrema bontà e dell’estrema crudeltà.
Il mondo , secondo la Morante, non sarà salvato che dai ragazzini, dagli esseri innocenti, gli unici che sanno amare veramente e incondizionatamente. (S.A.)
A cura della Redazione Virtuale
Milano, 18 gennaio 2005
La nostra autrice vuole che il romanzo familiare di Elisa contenga tutto ciò che era stata la sostanza del romanzo dell'Ottocento; già nel titolo del primo capitolo («Una sepolta viva e una donna perduta») Menzogna e sortilegio sembra voler presentarsi come un romanzo d'appendice, un romanzo d'amore.Al tempo stesso però, pensando all'Orlando furioso e al Don Chisciotte, scrive, ignorando tutte le scoperte del romanzo ottocentesco (il colpo di scena, le sorprese, il montaggio, la funzione del «destino» ecc.), con lo stile tipico della favola. L'eccentricità di Menzogna e sortilegio sta nell'essere un romanzo dell'Ottocento che, con tono fiabesco, mette in scena quanto di meno fiabesco e romanzesco offra la civiltà del Novecento: le nevrosi autodistruttive dei ceti piccolo-borghesi, che in seguito allo sviluppo economico avviato tra Otto e Novecento, tendono sempre più a rifiutare «la sorte assegnatali in questa vita» per vivere in compagnia della menzogna coperta di verità.
Sembra quindi — come ben dice Cesare Garboli nell'introduzione — che l'anima stessa del Novecento viva «chiusa in un romanzo concepito all'antica»: «quel buio regno di incubi e sogni piccolo-borghesi… che in Kafka (autore fortemente amato dalla Morante) è in bianco e nero, …nella Morante è visitato dai colori». Tutto ciò può apparire ambiguo, ma il principio ispiratore del testo, il suo più singolare fascino è l'ambiguità «questa grazia celeste: senza la quale nessuno troverà mai favore al cospetto di Elisa». Ogni pagina è intrisa di ambiguità a tal punto che si giunge alla fine del romanzo col dubbio se Elisa si sia davvero liberata dall'unica eredità lasciatale dai suoi, la menzogna. Infatti Elisa, malata di menzogna, sceglie la scrittura come strumento capace di liberarla dalla foresta di mostri che popolano la sua infanzia.
E così inizia a scrivere il romanzo familiare di casa De Salvi; ma narrando, ribalta quella stessa storia che, da bambina, credeva popolata di «santi, eroi e profetesse» in una cronaca di miserie e deliri. È Il romanzo familiare dei nevrotici di Freud a offrire il modello narrativo all'autobiografia di Elisa. Freud mostra infatti alla Morante la strada per trasformare, attraverso la scrittura, la «foresta di sogni» di paure e misteri che fin dall'infanzia l'ossessionava, in un romanzo che appare assai distante dall'autobiografismo tradizionale. Dunque, Menzogna e sortilegio — come la stessa autrice dichiarò — racconta il passaggio dalle fantasia alla coscienza, dalla giovinezza alla maturità: per tutti «esperienza fondamentale e tragica».
Tuttavia, Elisa prende commiato dai suoi lettori, rivolgendosi al gatto Alvaro, suo unico «compagno» per tutto il tempo della scrittura, con un canto, i cui versi finali
(«… E di mie fole e stragi / coi tuoi baci, coi tuoi dolci lamenti, / tu mi consoli, / O gatto mio!») lasciano il sospetto che il sortilegio perduri. (D.M.)


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Anna Maria Ortese

nasce a Roma nel 1914, da una famiglia modesta. Durante la prima guerra mondiale con il padre al fronte, vive con la mamma, la nonna materna e i suoi cinque fratellini, prima in Puglia poi vicino Napoli a Portici infine in modo più stabile a Potenza. Il padre nel 1918 ritornato a casa ottiene una concessione e parte con tutta la famiglia per la Libia e si costruisce una casa. Ma il soggiorno nella colonia italiana dura pochi anni e la famiglia, senza la nonna morta prima dell'ulteriore trasferimento, ritorna in Italia e precisamente a Napoli.

Nel gennaio del 1933 muore alla Martinìca, dove sì trovava con la sua nave, il fratello Emanuele, marinaio. La perdita dell'amato fratello le lascia un dolore cupo, uno smarrimento che la porta a scrivere poesie. Pubblicate dopo alcuni mesi dalla rivista La Fiera Letteraria le valgono qualche elogio e il primo incoraggiamento a scrivere. L'anno successivo, sempre per la stessa rivista, scrive il suo primo racconto, Pellerossa, «dove è adombrato un tema fondamentale della mia vita: lo sgomento delle grandi masse umane, della civiltà senza più spazi e innocenza, dei grandi recinti dove saranno condotti gli uomini comuni».
Nel 1937 la Bompiani consigliata da Massimo Bontempelli pubblica i racconti Angelici dolori, i quali sono accolti con molto favore, ma anche con violente critiche da Falqui e Vigorelli.

Dopo quest'inizio abbastanza promettente, l'ispirazione artistica si affievolisce. La giovane Ortese incomincia a spostarsi in varie città dell'Italia settentrionale, Firenze e Trieste, nel 1939 è a Venezia, dove trova un impiego come correttrice di bozze al Gazzettino.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale ritorna a Napoli, e in questa città per lei quasi magica, l'ispirazione e l'immaginazione della scrittrice trovano presto un correlativo oggettivo per manifestarsi appieno. Nel primo dopoguerra collabora alla rivista Sud, diretta da Pasquale Prunas dove, tra gli altri, collaborano giovani scrittori come Luigi Compagnone e Raffaele La Capria.

Il suo secondo libro di racconti L'infanta Sepolta arriva nel 1950, e nel 1953 pubblica II mare non bagna Napoli, con il quale vince il Premio Viareggio,in cinque capitoli, aventi come oggetto le squallide condizioni della Napoli del dopoguerra, caratterizzata da disperazione e senso di rovina. Dal primo racconto della raccolta, Un paio di occhiali, è stato tratto nel 2001 un film (regia di Carlo Damasco) presentato alla Biennale di Venezia dello stesso anno. Ma è soprattutto l'ultimo racconto, II silenzio della ragione, dedicato agli scrittori napoletani, che suscita in città violente opposizioni, tanto che l'Ortese avrà difficoltà a tornare a Napoli, almeno fisicamente, perché la sua mente non finirà mai di ricordare la città, come testimoniano i due libri scritti molti anni più tardi: II porto di Toledo(1975) e II Cardillo addolorato(1993). Inizia per la scrittrice un periodo molto sofferto e problematico, d'emarginazione e di strisciante ostracismo, a causa delle sue posizioni critiche nei confronti del mondo intellettuale e culturale dell'Italia dell'epoca.

In uno dei suoi trasferimenti a Milano scrive alcuni racconti che sono raccolti e pubblicati nel 1958 dalla casa editrice Laterza con il titolo Silenzio a Milano. Riprende a viaggiare sia in Italia sia all'estero (Londra, Mosca ) scrivendo ottimi reportages. Nel 1963 scrive L'iguana romanzo pubblicato dalla Vallecchi due anni dopo. Di nuovo a Milano nel 1967 pubblica Poveri e semplici che vince nello stesso anno il Premio Strega, libro che avrà un seguito ne Il capello piumato(1979). Sono gli anni della contestazione giovanile, da destra e da sinistra, tutta la cultura è sotto accusa. L'Ortese, nonostante il suo carattere individualista, ha a cuore la comunità ma reagisce a suo modo, rifugiandosi nei ricordi dei primi racconti, e così le ritorna alla mente l'adolescenza, la Napoli che non aveva capito o veduto, tutt'altro che letteraria o angelica. La situazione non felice della città e della famiglia, la madre impazzita, la tragica morte dei fratelli e gli eventi grandiosi e disgreganti delle guerre, portano la scrittrice a scrivere Il Porto di Toledo, pubblicato nel 1975 da Rizzoli. La prima edizione del libro per disavventure editoriali viene portata al macero e la scrittrice con grand'ostinazione e abnegazione continuerà a lavorarci fino alla fine dei suoi giorni.
Anna Maria Ortese, alla metà degli anni settanta, accentuando sempre più il suo isolamento culturale e umano, si trasferisce definitivamente con la sorella a Rapallo. A partire degli anni 80, inizia una corrispondenza con Beppe Costa che la spinge a pubblicare prima Il treno russo (con il quale viene premiata a Rapallo) e successivamente Estivi terrori. Usufruisce della Legge Bacchelli grazie alla raccolta di firme ed interventi presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri organizzata dallo stesso Costa insieme a Dario Bellezza e alla giornalista Adele Cambria. Lo stesso Costa la convince ad accettare la proposta del Dott. Calasso della Adelphi. Spezza quest'isolamento trascorrendo negli ultimi anni brevi periodi a Milano, ospite dell'Adelphi, la sua nuova casa editrice, che con grande acume imprenditoriale ripubblica le vecchie opere. Tra queste nel 1988 L'iguana viene tradotta in francese da Gallimard ottenendo un discreto successo anche in Francia. Nei suoi ultimi libri, Il cardillo addolorato(1993), ambientato in una magica Napoli settecentesca, e Alonso e i visionari (1997), torna a parlare di sé anche se in modo velato. La morte la coglie nella sua casa di Rapallo il 10 marzo 1998.

Bibliografia [modifica]
Angelici dolori, racconti (Bompiani, Milano 1937)
L'infanta sepolta, racconti (Milano sera, Milano 1950)
Il mare non bagna Napoli, novelle e cronache (Einaudi, Torino 1953; ultima riedizione: Adelphi, Milano 1994) Premio Viareggio
Silenzio a Milano, cronache (Laterza, Bari 1958; ultima riedizione: La Tartaruga, Milano 1986)
I giorni del cielo, racconti (Mondadori, Milano 1958)
L'iguana, romanzo (Vallecchi, Firenze 1965; ultima riedizione: Adelphi, Milano 1986)
Poveri e semplici, romanzo (Vallecchi, Firenze 1967; Rizzoli BUR, Milano 1974) Premio Strega
La luna sul muro, racconti (Vallechi, Firenze 1968)
L'alone grigio, racconti (Vallecchi, Firenze 1969)
Il porto di Toledo, romanzo (Rizzoli, Milano 1975; Rizzoli BUR, Milano 1985)
Il cappello piumato, romanzo (Mondadori, Milano 1979)
Il treno russo, cronache (Pellicanolibri, Catania 1983, 2° ed. Roma 1987)
Il mormorio di Parigi, cronache (Theoria, Roma-Napoli 1986)
Estivi terrori, racconti (Pellicanolibri, Catania 1987)
In sonno e in veglia, racconti (Adelphi, Milano 1987)
Il cardillo addolorato, romanzo (Adelphi, Milano 1993)
Alonso e i visionari, romanzo (Adelphi, Milano 1997)
Corpo celeste, testi e interviste (Adelphi, Milano 1997)


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