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24.10.08

Agi Berta




Cosi...
come un diario...

Ah!
Il narcisismo,
motore del mondo...
non ho mai fatto
vedere a nessuno
ste cose...
................




.
.
.
.
.
Mi hai
lasciato…
Mi hai
stretto
le mani
e hai
baciato
con la bocca arsa
le dita nervose..


Mi hai detto che non sapevi se esistesse un dopo
anche per noi poveri atei
senza dio e senza paradiso,
ma speravi di trovare una stella vicina
da dove salutarmi tutte le sere.
Il tuo sorriso era una smorfia di dolore,
una lacrima sforzava gli occhi serrati.
e scivolava via lenta sul viso sudato.
Le parole mi sono nemiche,
e sfuggono nascondendosi nei dizionari.
Anche i verbi escono dai binari
ordinati del tempo.

Non ho una lingua,
i pensieri girano a vuoto
nella loro forma nebulosa.

Avessi almeno un Dio
che mi abbraccia
E mi vuole bene.
Ma sono sola
e ho paura della vita.

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ancora un'altra e poi basta...

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La storia è una roccia
Già scolpita.
Immodificabile.

Si può interpretarla,
comprenderla,
ma su di essa non si può lasciare
impronte tardive.

Chi c’è, c’è.
Chi manca.. mancherà per sempre.

Certo esiste il futuro
E lo scalpello pronto.

Ma la mano è legata..
Da ciò che è già stata.

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Ho un'altra poesia, una vera, non scritta da me,
ma da uno dei poeti ungheresi che amo di più
Sandor Weores.
Parla della madonna...
L'avevo tradotta io che non sono manco credente
.o comunque lontanissima anni luce da riti vuoti
della chiesa...però questa madonna mi piace.


Sandor Weores:
-- Maria---



Io non condanno:
le mie mani non reggono
bilancia o mannaia:
a colpire non ho imparato,
solo a carezzare;
non ad affamare,
solo a nutrire;
non a ferire, solo a ferirsi,
non a conquistare, solo a chiedere.

Nel silenzio vibrante, nell’immagine
maschere e fogge nuziali
fioriscono su di me,
leone ed agnello dividono il mio seno.

Il lattante mi sporca,
.. non rimane la macchia,
mi graffia il petto,
..ghirlanda formano le gocce di sangue,
carenze non ne sente
il mare che n’è colmo.

L’assassino mi schizza il sangue,
io l’asciugo;
se mi offende
non rivolgo lo sguardo.

Non sono muro di pietra,
che soppesa il colpo e la carezza
che riceve;
non sentiero di fango,
che misura il passo e l’impronta;
non sorgente di fuoco,
che mostra
la materia e il vacuo come appare:
solo nido: caldo che riscalda.

Se vedi compiacermi della palma,
pensaci: non è da me;
come per te, la lacrima
è l’unico mio tesoro,

la ferita di mio figlio
è il mio dominio infinito
e il tormento del mondo
è l’orto mio senza porta.

Nel grembo porto l’albero
frondoso della vita
e se ti stacchi da esso e cadi,
mentre il tuo pugno prepotente
afferra il mio grembiule,
e abbatti il ceppo della testa
sulle mie ginocchia,
non temere.

Il silenzio ti veglia,
la lacrima e io.


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